Per capire chi vuole realmente andare al voto in tempi rapidi (e con quale legge) e chi no, occorre ragionare tenendo a mente i numeri di Camera e Senato (e servono almeno un migliaio di parole…abbiate pazienza).
La questione si incentra sulla possibilità di creare aggregazione su due tipologie di maggioranze: quella per approvare una nuova legge elettorale e quella per “sfiduciare” eventualmente il Governo attualmente in carica. Va da sé infatti che senza la possibilità di “minacciare” in maniera credibile una caduta repentina del Governo, difficilmente si potrà avviare una discussione reale sulla legge elettorale che non sia un mero perder tempo fino a fine legislatura o quasi.
Sotto questo secondo punto di vista, al di là delle posizioni più o meno di facciata e le divisioni fra maggioranza ed opposizione, gli unici voti certi su cui potrebbe contare una eventuale sfiducia sarebbero quelli di Lega Nord e M5S, ossia 110 voti alla Camera e 47 al Senato.
Berlusconi (con i suoi 50 Deputati e 42 Senatori) è fuori da questa partita per ovvie ragioni: a lui serve ora più che mai un Governo che lo supporti nel respingere gli attacchi stranieri alle aziende familiari, o che almeno gli offra sponda per strappare condizioni di resa accettabili. Se a questo si aggiunge il forte calo nei sondaggi di FI, ecco che la posizione pro proporzionale, senza se e senza ma, nella speranza di ingabbiare il dibattito in trattative lunghe su un accordo impossibile, è presto spiegata.
Ai voti di Lega e M5S, in teoria, si potrebbero aggiungere invece quelli del PD che, da ultimo con Orfini, ha fatto chiaramente intendere che, nel caso in cui non ci fosse la possibilità concreta di aggregare alcuna maggioranza su una legge elettorale, si dovrebbe votare “subito”.
Qui iniziano i problemi perché, dei 301 Deputati e 113 Senatori (teoricamente sufficienti quindi far raggiungere ad una mozione di sfiducia la maggioranza), è difficile capire quanti siano realmente ortodossi con la posizione della segreteria.
La situazione interna al PD infatti finisce per essere l’incognita principale dell’attuale labirinto parlamentare. Renzi ed i suoi vogliono andare al voto il prima possibile per diversi buoni motivi: All’indomani del referendum, anche se sconfitto, il Segretario del PD manteneva una posizione dominante, almeno nell’area di centro sinistra, in cui i sondaggi lo indicavano indiscutibilmente come candidato più forte. Ogni giorno che passa però la sua posizione strategica, nel partito e nel paese, rischia di indebolirsi. Nel paese perché il Governo Gentiloni, visto generalmente in assoluta continuità col precedente, è scarsamente popolare (per quanto fosse anche largamente prevedibile come unica alternativa reale all’indomani della sconfitta referendaria) ed il suo perdurare indebolisce la posizione elettorale del PD e di Renzi. Nel partito perché è ovviamente iniziata la notte dei lunghi coltelli democratica e si sa, saltar giù dal carro quando non è più quello del vincitore certo è uno sport sempre di tendenza. Dopo di che ci sono le “questioni personali”: in molti casi quella che si sta consumando all’interno del PD non è più una normale lotta di successione politica, ma ha assunto i connotati della guerra per bande con motivazioni del tutto soggettive. Le posizioni di D’alema e Bersani (tanto per fare due esempi) e di coloro che mandano a combattere le loro battaglie (vedi Speranza), già sulla questione referendaria, non si spiegano altrimenti se non con il tentativo di portare avanti una vendetta personale su quel Renzi che li aveva in precedenza silurati. Inutile dire quindi che al motto di “responsabilità responsabilità responsabilità” la minoranza dem tenterà di tirare il governo più per le lunghe che potrà. Dalla capacità dell’ ex premier di serrare i ranghi e mantenere il controllo del partito dipende in definitiva la lunghezza della legislatura.
Se il PD rimarrà abbastanza compatto sulla possibilità di andare alle urne in tempi brevi è probabile che il dibattito sulla legge elettorale si incentrerà realmente sul mattarellum: non è la prima scelta di nessuno, ma è quella che più o meno tutti vedono come il male minore, perché di fatto pronta all’uso e perché consente ai partiti più grossi di mantenere una certa rilevanza e a molti dei più piccoli di sopravvivere nel gioco delle coalizioni. Unica eccezione sarebbe il M5S che data la propria dichiarata impossibilità a fare alleanze di governo, si vedrebbe relegato di fatto all’ opposizione (sempre che questa non sia l’ eventualità su cui il movimento sta puntando realmente) .
In caso contrario, senza lo spauracchio di porre termine alla legislatura, sarà difficile trovare i voti per sostenere una legge elettorale di qualsiasi tipo in breve. Ci si avvierebbe quindi verso un sistema essenzialmente proporzionale da approvare verso scadenza naturale delle Camere.
Altre forze minori sono scarsamente influenti sul piano della durata dell’esecutivo: non hanno al momento in mano il reale ricatto di far mancare l’appoggio ad un governo della cui esistenza sono i primi beneficiari e, paradossalmente, anche senza di loro in teoria si può staccare la spina all’esecutivo. Quello che possono fare è tirarla per le lunghe quanto possibile, nel tentativo di negoziare una legge elettorale che ne assicuri quantomeno la sopravvivenza.
Sulla linea attendista sembra attestato anche il Quirinale che ha posto paletti rigidi sulla formulazione della nuova legge elettorale, richiedendo una ampia condivisione con le opposizioni (volere una legge condivisa anche da FI, Lega e M5S è equivalente a posticipare il tutto a tempo indeterminato). I motivi di questa posizione discendono, a mio avviso, da due partite distinte: una ha a che fare con la reazione dell’apparato burocratico allo spoils system che è stato portato avanti negli ultimi due anni (lo dico senza alcuna pregiudiziale di merito, né sulla azione né sulla reazione, semplicemente come dato di fatto). La seconda, più preoccupante, è la partita economica, nella quale il pericolo di elezioni senza un reale vincitore o con vincitore il M5S viene visto come preludio ad una “curatela” europea ed internazionale verso l’Italia, di cui si iniziano a leggere qua e là alcune avvisaglie. Meglio quindi posticipare la cosa e puntare su una governabilità quasi certa. Pere che di queste partite anche l’entourage renziano abbia iniziato ad avvertire chiaramente almeno un paio di segnali.
In tutto ciò, per non farsi mancare nulla, c’è sullo sfondo la questione Corte costituzionale e pronuncia sull’ Italicum che potrebbe, in potenza, aprire scenari del tutto nuovi, complicando una navigazione che definire a vista pare riduttivo.
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