Come gli errori di Trump sono analizzati dagli esperti americani

Credo sia il caso di capire come gli errori di Trump sono analizzati dagli esperti americani di esteri sicurezza ed anti terrorismo.

Ok, recentemente ho scritto un articolo sul perché, in tutta franchezza, Trump non possa minimamente piacermi.  Tuttavia, pur provando a legare i miei giudizi a fatti concreti, cercando di evitare gli isterismi, sempre dannosi da qualsiasi parte si manifestino, mi rendo conto che il rischio concreto è quello di scindersi in fazioni autoreferenziali. In quest’ottica commenti favorevoli e contrari, specialmente a distanza e poco informati, si contrastano ottenendo un nulla di fatto, tant’è che anche la popolazione americana appare spaccata a metà (il che significa che un buon 50% almeno approva il nuovo Presidente).

Ecco perché vale la pena evidenziare che i primi giorni di Trump come Presidente hanno suscitato, non solo le profonde critiche di una parte di opinione pubblica legata agli ambienti Democratici, aspetto che di per se non sarebbe poi così sconcertante, ma anche e soprattutto quelle di personaggi, esperti in home security e antiterrorismo, professori universitari o consulenti di lunga data delle Agenzie governative, appartenetti al mondo classicamente Repubblicano.

Bisogna sfatare questo assurdo mito che Trump e adepti vari (anche nostrani) perseguano la sicurezza (globale), mentre chi muove critiche all’operato sia un disfattista. L’idea che qualcuno voglia vivere sicuro mentre altri apprezzerebbero una vita quotidiana immersa nella paura è una idiozia: chiunque è interessato alla sicurezza; il punto è come ottenerla e se determinate politiche siano o meno efficaci.

Benjamin Wittes , in un articolo aspramente critico sul merito del provvedimento di blocco dei visti, scrive fra l’altro :” In parole povere, non ritengo che lo scopo dichiarato –del provvedimento (ossia la sicurezza)– sia lo scopo realeNel razionale perseguimento di obbiettivi di sicurezza non si dovrebbero marginalizzare i propri esperti delle agenzie di sicurezza e non si dovrebbe omettere di veicolare le idee tramite il normale processo interagenzia. Non dovresti nemmeno prendere di mira le persone sbagliate se avessi reali obbiettivi in termini di sicurezza”. l’articolo evidenzia una banalità per molti (ma non per tutti evidentemente viste le lodi che taluni esponenti nazionali tessono del provvedimento): se veramente lo scopo fosse quello legato alla sicurezza il provvedimento sarebbe da un lato esorbitante e dall’altro riduttivo. Esorbitante perché colpisce indiscriminatamente maxi categorie di cittadini senza alcun legame acclarato col terrorismo; riduttivo perché non avrebe evitato l’ingresso di molti dei terroristi che hanno colpito il suolo americano, compresi quelli dell’ 11 settembre.

Wittes aggiunge che il provvedimento è “scritto talmente male che pare essere stato redatto da uno stagista durante la pausa pranzo e con un linguaggio talmente povero da rendere impossibile prevederne pienamente le conseguenze“, arrivando ad augurarsi che gli effetti malevoli siano in qualche modo mitigati dagli enormi difetti strutturali del provvedimento.

In poche parole: se dichiari che lo scopo del tuo provvedimento sia la sicurezza e in concreto gli effetti non solo non sono migliorativi, ma addirittura peggiorano la situazione, delle due l’una: o sei un incompetente in buona fede (che è male) o sei in mala fede (che è peggio).

Paul Rosenzweig  parallelamente esprime una serie di forti preoccupazioni in merito alle conseguenze legali ed amministrative legate alla indeterminatezza del provvedimento presidenziale; una su tutte l’impatto che lo stesso avrà sugli accordi di scambio dati, in tema commerciale e di sicurezza, a causa delle restrizioni sulla privacy che applica agli stranieri.

J. Dana Stuster, esperto in  Foreign Policy elenca ,preoccupato e quasi incredulo, tutte le “crisi” internazionali che la prima settimana di Trump sta provocando, spiegando le limitazioni operative che queste potrebbero implicare.

Non stiamo parlando di Michael Moore ! Questi sono specialisti, da sempre consulenti delle amministrazioni repubblicane, sostenitori di politiche tutt’altro che pacifiste (favorevoli all’uso dei droni, agli interventi militari, all’anti terrorismo “attivo”).  Non contrastano Trump perché ideologicamente schierati su posizioni differenti ma perché, avendo a cuore il tema della sicurezza interna e dell’anti terrorismo, ritengono che i provvedimenti fin qui adottati, oltre che non essere efficaci, siano addirittura deleterei per la confusione legislativa che creano e per le difficoltà strategiche in cui mettono gli Stati Uniti.

Robert Kuttner, certamente di estrazione più liberal dei precedenti, dipinge tuttavia su un articolo per l’ Huffington Post un quadro più che allarmante di un Presidente fuori controllo verso cui, sia in campo Democratico che Repubblicano, si inizia a pochi giorni dall’insediamento a ventilare apertamente l’ipotesi di impeachment.

Vorrei sottolineare un fatto: non stiamo parlando della politica italiana, abituata da molto alla delegittimazione costante dell’avversario,  in cui ogni battito di ali di farfalla è buona per invocare mozioni di sfiducia e crisi di governo. Stiamo parlando del sistema statunitense, abituato a confronti istituzionali ben differenti, in cui i casi di presidenti che non portino a termine un mandato sono rari quanto l’abdicazione di un Papa. A mia memoria per nessun presidente prima di Trump si parlava apertamente di ipotesi di impeachment già a pochi giorni di distanza dall’insediamento.

Trump sta oggi scontando l’urto, inevitabile, col muro della differenza esistente fra il fare propaganda in campagna elettorale e scrivere provvedimenti governativi che vanno ad impattare sulla realtà. Una realtà fatta di Costituzione, Tribunali, contrappesi, ma anche di vite e di interessi. Una realtà in cui non basta scrivere qualche riga di provvedimento malfatto, non staffato da alcun elemento di organizzazione, per pretenderne l’applicazione senza conseguenze.

Sarebbe bene evitare di cadere nella trappola di chi cerca di dipingere The Donald come il Presidente che si oppone ai poteri forti e per questo viene attaccato da tutti.

La realtà, leggendo i principali commentatori anericani, è che nei suoi primi giorni da presidente, Trump ha evidenziato impulsività e scarsa preparazione, dimostrando di trattare temi delicatissimi, con la delicatezza di un elefante in cristalleria. Se fossimo in un film comico con Bud Spencer sarebbe anche divertente  e non vedrei l’ora di arrivare al punto della scazzottata, quello in cui Bud e Terence sistemano il boss dei cattivi (di cui Donald è il fenotipo perfetto)

Purtroppo però l’elefante sono gli USA, ossia l’elefante più grosso che ci sia, e i cristalli che rischiano di frantumarsi sono equilibri delicati, interni ed esteri; sociali ed economici di cui non è assolutamente scontato riprendere il controllo una volta sfuggiti di mano. Tutti massimi sistemi certo, ma è bene non dimenticare che, in soldoni,  quei massimi sistemi si tramutano in effetti, anche enormi, sulla vita dei singoli, di tutti noi.

In House of Cards è presente una bandiera USA capovolta. E’ un segnale di pericolo e una richiesta di soccorso…in passato veniva issata nei fortini assediati dagli indiani…chissà che non sventoli prossimamente a  Washington…

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