DI ALBERTO EVANGELISTI
Ennesima tragedia italiana, ennesimo copione già scritto di reazioni, sdegno, proclami. Passerà anche questa e tutto tornerà più o meno come prima. Citando Marco Paolini “a noi italiani l’indignazione dura meno dell’orgasmo. E dopo viene sonno”.
Il meccanismo dell’indignazione non è certo una prerogativa di questo Governo, anzi, è ben consolidato e trasversale, non si inventa nulla: strage, proclami altisonanti sul trovare e punire i colpevoli, individuazione di un colpevole da gettare in pasto all’opinione pubblica che può così distrarsi ed indignarsi adeguatamente. Appianato l’istinto di rivalsa il popolo è sazio e tutto si appiana. Fino alla prossima sciagura nazionale.
Anche nella immane tragedia di Genova il copione non cambia. La politica (tutta) è evidentemente preoccupata unicamente di individuare un colpevole, possibilmente uno che allontani da sé ogni responsabilità e, se va proprio di lusso, consenta di acquisire un vantaggio politico.
Così in neanche 24 ore, senza che ci sia stato modo di fare alcun accertamento tecnico, senza che ancora siano terminati i soccorsi, da un lato vengono giudicati e condannati come colpevoli assoluti i vincoli di bilancio imposti dall’Europa e la gestione di Società Autostrade, dall’altro vengono fatti riaffiorare dal blog pentastellato i comunicati dei Comitati no Gronda dei 5 Stelle in cui il paventato rischio di crollo del Ponte Morandi viene definito “una favoletta” (comunicati prontamente eliminati ma, si sa, la rete non perdona).
Il risultato è un ammasso di gente, divisa in schieramenti preordinati che, al netto di qualsiasi valutazione tecnica, ancora del tutto assente e che comunque difficilmente potrebbe essere facilmente compresa, passa il tempo ad insultarsi e darsi la colpa on line.
Una vera fortuna per chi dovrebbe, in teoria, trovare le cause e individuare le azioni migliori per eliminare la possibilità che la cosa si ripeta. Si, una bella fortuna, perché può non fare nulla (o quasi), limitandosi a godersi lo spettacolo a cui ha dato il via.
Dovremmo invece imparare dal mondo aereonautico e dal modo in cui vengono svolte le inchieste sui disastri aerei; non a caso volare rimane il modo più sicuro di viaggiare.
La prima cosa che impareremmo è che non esiste mai una sola causa per un disastro e che individuare ciascuna delle concause è ugualmente importante. Di più, è l’unico modo per capire quali meccanismi hanno concorso per provocare l’evento ed è l’unico modo per impedire che accada di nuovo.
Qui arriva la seconda e più importante lezione che impareremmo dal mondo aeronautico: quando accade una tragedia come questa, l’unico vero risultato che il sistema paese dovrebbe voler conseguire, l’unico che non renda del tutto inutile la morte di tutte queste persone, è capire come fare in modo che non accada più. Per le responsabilità, penali e civili, ci sono i tribunali. È così che da ciascun incidente, l’inchiesta concorre ad emanare quelle nuove raccomandazioni e regole che, modificando procedure umane e parti tecniche, rendono sempre più sicuro il mezzo aereo.
La politica, specialmente se vuole essere politica di cambiamento (che sia miglioramento), non dovrebbe sbattere colpevoli in prima pagina a favore di sondaggi; dovrebbe semmai assicurarsi che noi tutti, passando sull’ennesimo viadotto, sopra o sotto un ponte, abitando vicino ad una diga, lo si possa fare con la ragionevole certezza che non ci crolli tutto addosso.
Ci meritiamo questo: che, per una volta, chi ci rappresenta lavori per trovare le cause e ci rassicuri che non accadrà di nuovo.