
Ammesso che si nutra un qualche interesse sulle vicende del PD (cosa tutt’altro che scontata, anche se l’interesse ci dovrebbe essere viste le conseguenze generalizzate che la cosa può avere), vorrei indicarvi I 3 motivi che hanno fatto esplodere il PD proprio adesso.
In fondo i rapporti interni non sono mai stati idilliaci fin dalla nascita del partito e, ancor prima, fin dalle esperienze dell’Ulivo. Cosa mai sarà cambiato in questi pochi giorni per rendere insopportabile ciò che è stato sopportato senza grandi sforzi (a parte qualche dichiarazione di facciata) per anni?
Ci sono almeno tre aspetti da considerare:
Primo aspetto: Il PD nasce come “fusione a freddo” fra una componente maggioritaria, i DS, lontani discendenti del vecchio PC, ed una componente minoritaria, la Margherita, lontanissima parente della sinistra democristiana.
In questi anni i rapporti di forza sono rimasti a lungo invariati: le leve del potere reale nel partito (e prima ancora nella coalizione) erano in mano alla componente DS. D’Alema and friends hanno, in un modo o nell’altro, sempre avuto il controllo della “struttura”(non si ricorda un congresso con esito incerto) e determinato le sorti dei governi di centro sinistra (morti tutti non a caso per fuoco amico…in ambito militare blue on blue).
Con Renzi questo controllo dell’apparato è stato messo seriamente in discussione. Anzi, oggi la minoranza lo è realmente (sia nelle strutture di partito, sia alla conta degli elettori). Quel che è “peggio” è che la maggioranza non è più di discendenza ex DS.
Chi fa o ha fatto politica sa che controllare un partito è più importante che vincere le elezioni: i risultati elettorali possono essere alterni, ma controlla re il partito consente di continuare ad essere referenti nei territori.
In quest’ottica l’adesione ai comitati per il NO al referendum del 4 dicembre non aveva nulla a che fare col merito della riforma. Era invece l’avvio di un tentativo di riprendere il controllo del partito.
Qui arriva il secondo aspetto: la sentenza della Corte costituzionale sull’ Italicum. Della pronuncia è stato dato gran risalto mediatico alla parte relativa a turno di ballottaggio e al premio di maggioranza. In realtà però questo aspetto era quello che interessava meno la minoranza PD. Prima di tutto perché la vittora del No e la mancata riforma del Senato avrebbe comunque reso pressoché inutile il turno di ballottaggio alla sola Camera.
Secondo, e più importante, perché ciò che realmente premeva alla minoranza era l’abrogazione dei capilista bloccati. Su questo la sentenza della Consulta è stata per Bersani & Co. una vera e propria doccia fredda. Mi spiego: abolendo i capilista bloccati, il potere della segreteria nell’influenzare la composizione del prossimo Parlamento sarebbe stata relativa. I candidati infatti se la sarebbero giocata fra loro a suon di preferenze, cosa che garantiva alla minoranza l’elezione di una certa aliquota di fedelissimi.
Il mantenimento della parte bloccata di lista invece consente ai segretari di “epurare” in buona parte i futuri eletti da dissidenti scomodi, e personalmente non ho grossi dubbi che Renzi, dopo lo scherzetto referendario di D’Alema, Bersani e seguaci vari, ci avrebbe pensato su due volte per ridurre la loro rappresentanza parlamentare in qualcosa tendente allo zero. Il tutto anche alla luce di sondaggi per le eventuali primarie che avrebbero dato (condizionale d’obbligo) Renzi vincitore plebiscitario con percentuali attorno al 75% e gli altri 3 candidati a dividersi le briciole.
Qui si innesca il terzo aspetto: la legge elettorale attuale, proporzionale nei fatti, incoraggio le scissioni. In questo modo i profughi ex PD potranno formare proprie liste, far eleggere propri deputati, con cui il PD (o chiunque intenda tentare di governare) si troverà a dover trattare il giorno dopo le elezioni. Unico vincolo, superare il 3% alla Camera e l’8% al Senato.
Quindi, di fatto, senza farsi incantare troppo dalle motivazioni procedurali presentate, la scissione è pronta già da tempo, quando ancora le questioni congressuali non erano in discussione e la luce verde è stata data dall’esito della Sentenza della Corte costituzionale.
Il fronte scissionista non è però compatto: Bersani, D’Alema, Speranza sono fuori nei fatti già da tempo. Per loro la questione è personale e la convivenza con Renzi è ormai impossibile. Rossi si è messo fuori, forse un po’ ingenuamente, convinto che il fronte sarebbe rimasto unito. E’ quello che ha più da perdere visto che in Regione Toscana è retto pressoché in toto da renziani.
E poi viene Emiliano. Alla fine pare intenda rimanere e partecipare alle primarie. Se ha fatto questa scelta non è certo perché gli è stata garantita possibilità di fare una discussione politica interna lunga in un congresso con tempistiche bibliche. Più probabilmente avrà ricevuto “rassicurazioni” sul fatto che, comunque vada il congresso, potrà garantire su una adeguata rappresentanza in Parlamento.
Nulla di nuovo sotto il sole.
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