DI ALBERTO EVANGELISTI
Quando ero molto giovane spopolava un romanzo “tardoadolescenziale”, diventato poi un film interpretato da due giovanissimi e talentuosi attori, Stefano Accorsi e Violante Placido. Quel romanzo, intitolato “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” basava la propria storia su un falso assunto: Jack (John) Frusciante, chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, aveva deciso di lasciare il gruppo nel momento di esplosione della loro fama per fuggire dalle falsità del mondo mainstream. La realtà era ben diversa: Frusciante aveva problemi di droga talmente seri da impedirgli di suonare, così dopo un lungo percorso di riabilitazione, anni dopo, si sarebbe riunito alla band.
Quell’assunto sbagliato, rappresenta però bene la vita di un altro musicista essenziale nella storia della musica moderna, Steven Demetre Georgiou, più noto ai fan come Cat Steven, di cui il 21 luglio festeggiamo i 70 anni.
Steven inizia la propria carriera nella Londra della seconda metà dei sessanta con due album del 1967, Matthew and Son e New Masters, accolti tiepidamente da pubblico e critica.
La prima svolta artistica della sua vita arriva qualche anno dopo quando, a seguito di uno stop forzato dovuto a motivi di salute, pubblica tre nuovi lavori, Mona Bone Jakon (1970), Tea for the Tillerman (1970) e Teaser and the Firecat (1971), grazie ai quali conquista un successo planetario.
Di questo triennio mirabile sono, fra gli altri, alcuni dei singoli di maggior successo di Stevens, come Wild World, Father and Son, Morning Has Broken, Moonshadow e Peace Train.
Cat Stevens fa breccia nel proprio pubblico grazie ad uno stile peculiare, fatto di strumentazione acustica, voce dalla sonorità calda e testi coinvolgenti e strutturati, diventando in breve uno degli artisti più conosciuti della scena mondiale.
Nel 1977 un nuovo punto di svolta: dopo un episodio in cui rischia di morire annegato, Cat Steven studia l’arabo, si converte all’Islam e cambia il proprio nome in Yusuf Islam.
Sempre del periodo 1977/1978 sono i suoi due ultimi (per molto tempo) lavori in studio, Izitso e Back to Earth, con i quali di fatto Yusuf saluta per molto tempo il mondo della musica.
Da quel momento rifugge la notorietà ottenuta grazie ai successi musicali, avviando un lungo periodo di esilio volontario dalla scena musicale principale, per dedicarsi ad una nuova vita incentrata sulla fede religiosa e sulla famiglia che costituisce assieme alla moglie, anch’essa musulmana, Fauzia Mubarak Ali.
La sua conversione lo porta in più di una occasione al centro dell’attenzione mediatica ma, a differenza del passato, per motivi ben diversi da quelli artistici, come quando, nel 1989 si è parlato di lui in merito all’appoggio dato alla fatwa emessa dall’ayatollah Khomeyni contro Salman Rushdie e i suoi Versi satanici. Nel 2014 le cronache tornano a parlare di Yusuf, quando scopre, suo mal grado, durante un volo da Londra a Washington, di essere stato inserito nella lista dei passeggeri indesiderati per l’ingresso negli Stati Uniti a seguito degli attentati del 2001.
Il distacco volontario dalla musica dura fino al 2003 quando viene invitato e convinto da Peter Gabriel a partecipare al concerto tenuto in onore di Nelson Mandela a Città del Capo. In realtà l’esilio sarebbe potuto finire prima: nel 1985 Stevens accettò di partecipare al famoso concerto Live Aid, di cui condivideva le finalità benefiche. Purtroppo, il suo intervento fu tagliato all’ultimo momento per compensare la durata eccessiva di alcune esibizioni che lo avevano preceduto. In fondo in pochi sapevano chi fosse quel Yusuf inserito in scaletta.
Il vero ritorno sulle scene però è del 2014: affiancando a Yusuf il vecchio nome d’arte precedente alla conversione, Cat Steven, produce Tell ‘Em I’m Gone.
Finalmente Cat Steven e Yusuf Islam hanno fatto pace, riconoscendo ciascuno il ruolo dell’altro.
Il nuovo Yusuf non rinnega le proprie idee, ma accetta l’artista che c’è in lui e decide di proseguire il proprio percorso di arricchimento personale anche per mezzo della scrittura della musica, che è tornato ad amare.
Questo percorso prosegue con l’ultima fatica di Yusuf/Cat, The Laughing Apple (2017), album di cui la critica sottolinea l’impressione che i due personaggi, accomunati dal medesimo corpo, si complimentino, ricercando l’uno le peculiarità dell’altro.
Una vita piena, talvolta controversa, tanto da sembrare un romanzo; una carriera musicale che avrebbe potuto vivere da assoluto protagonista, venendo oggi equiparato alle varie divinità del settore come Bob Dylan e che ha vissuto, volutamente, in sordina e con distacco; testi poetici e memorabili come Father and Son che ancora oggi emozionano intere generazioni: sono tanti gli aspetti per i quali i 70 anni di Cat Stevens meritano di essere ricordati, nella speranza che il meglio possa ancora venire.