IL PD NEL LIMBO, SALTA LA FESTA DELL’UNITA’ DI RIGLIONE

DI ALBERTO EVANGELISTI
Salta la Festa dell’Unità a Rigliano, paesino della provincia di Pisa. La decisione, ufficialmente nata da problematiche di natura burocratica, viene in seguito alla altrettanto inaspettata sconfitta alle ultime elezioni amministrative.
Ok, mi rendo perfettamente conto che, di per sé, la notizia potrebbe sembrare questione di cronaca politica locale ma non è così: occorre capire il senso di profondo smarrimento misto ad incredulità che la cosa abbia provocato nei militanti della zona, dove per zona si intende la Toscana, ossia uno dei territori storicamente vicini alla sinistra, per capirne la reale portata.
Per fare un esempio comprensibile il risultato delle comunali è stato vissuto da quegli elettori con un misto fra incredulità e delusione che, volendolo spiegare agli esterni, potrebbe essere paragonato a quanto ciascuno di noi ha provato alla fine di Italia Svezia: niente mondiali e sensazioni a metà fra la depressione e la voglia di vedere lo scalpo del CT in mondovisione (Ok, a qualcuno la colpa va data), ma soprattutto nessunissima voglia di rivedere una partita della nazionale da li a data da stabilire.
Per i militanti di zona è andata più o meno allo stesso modo: la frustrazione delle sconfitte degli ultimi anni e qualche malumore interno nella gestione del partito pare abbiano portato ad una spaccatura profonda, tanto da bloccare di fatto le attività della sezione.
Ecco, la stessa situazione di disagio della provincia pisana, quasi da pugile rallentato per i troppi colpi duri che ha subito nell’incontro e che ancora non sa se continuare a combattere o semplicemente lasciarsi cadere, sembra la fotografia di tutto il PD nazionale.
Alcuni dirigenti del partito si fanno sentire, parlano, tentano analisi o provano a vincere l’inerzia in cui sembrano essere piantati.
Parla la Pinotti su repubblica ad esempio. Già Ministra della Difesa, ma soprattutto genovese, sente il bisogno di analizzare i fischi ricevuti ai funerali di Stato per le vittime del crollo del ponte Morandi: “le contestazioni mi hanno amareggiato ma mi ha colpito soprattutto l’applauso forte che ha accolto Salvini e Di Maio. Dopo l’escalation da parte delle forze di governo per individuare un nemico su cui far ricadere la colpa, sembrava che gli venisse tributato un riconoscimento emotivo, come se loro fossero i soli a volere fare giustizia. Chi davanti a una strage non vuole giustizia? Però mi sono chiesta: se bastano questi proclami senza azioni concrete a suscitare fiducia, quanto non abbiamo risposto alle aspettative dei genovesi?”. Da cosa ripartire e come? “Abbamo la nostra storia e tante cose positive realizzate anche negli ultimi anni: è da questo che dobbiamo ricominciare…il nostro modello è fatto di dialogo, se serve di scontro duro nei contenuti, ma sempre nel rispetto. Oggi c’è un’Italia che guarda in modo attonito a queste forme aggressive usate per delegittimare l’avversario e qualunque pensiero non allineato”.
Anche Martina prova a suonare la sveglia fra i suoi. Secondo il segretario bisogna ripartire proprio dai fischi di Genova “tanti sentono il PD distante, ma battere la lega è possibile”.
L’impressione che si ha approcciando il PD di questo periodo è tuttavia quella di un partito che non sa ancora se intende continuare ad esistere, almeno nella sua parte dirigente.
Manca un impegno serio dei big: le ultime uscite di Gentiloni, Calenda e Renzi sembrano più dei tentativi di “brand position” che vere e proprie linee politiche; si parano i colpi scagliati da una Lega, dettatrice indiscussa dell’agenda politica quotidiana, limitando i danni personali ma anche evitando accuratamente di investire sul soggetto politico, almeno prima di essere certi che se ne farà ancora parte la prossima stagione.
Senza una guida chiara, la base si sfaglia, divisa fra voglie di rivalsa fra correnti e le infinite quanto infruttuose analisi della sconfitta, con in sottofondo la perenne tentazione di inseguire Lega e 5 Stelle sui metodi e sugli argomenti della discussione politica.
Come in ogni elaborazione del lutto, ancora non si è arrivati alla fase dell’accettazione e, soprattutto, manca una prospettiva storica.
Manca per esempio la consapevolezza che questa esaltazione nazionale per Lega e (meno) 5 Stelle che sembra durare da un tempo indeterminato e destinata a durare in eterno, è in realtà il frutto di appena due mesi di governo. In tempi di prima Repubblica si parlerebbe di Governo balneare.
Manca insomma una analisi lucida e svincolata dal panico da naufragio e da “si salvi chi può” che pare essere padrone dell’ambiente.
Una dialettica complessa, la cui riuscita è tuttavia non interesse di una parte, ma di tutto il panorama politico nazionale: una Democrazia in cui sia latitante una opposizione reale ed organizzata non va bene per nessuno.