Perché non bisogna fidarsi di chi ci vuole far uscire dall’Europa

Esistono alcune considerazioni meramente pratiche che spiegano perché non bisogna fidarsi di chi ci vuole far uscire dall’Europa.

In questo particolare momento storico ci stiamo confrontando con almeno due tipi di spinte secessioniste applicate all’Unione Europea: Una esterna, proveniente soprattutto da Stati Uniti (in particolare con il nuovo orientamenro portato dall’amministrazione Trump), Russia E, in qualche, modo Cina, ed una interna. Quest’ultima legata ad alcuni movimenti politici come quelli pro Brexit in Gran Bretagna, la destra Lepenista francese o il M5S e la Lega di Salvini in Italia.

Le considerazioni, peraltro estremamente elementari, che si deducono da alcuni dati meramente numerici, se da un lato fanno capire bene il perché dell’esistenza delle prime, dall’altro evidenziano anche la superficialità ed il masochismo delle seconde.

L’UE rappresenta un mercato unico di circa 443,4 milioni di persone ( già detratte dei 64,8 milioni fuoriusciti con la Brexit), con un potere di acquisto medio intorno ai 30.000 USD/Anno. Per dare un’idea sulla portata di questo valore, gli Stati Uniti rappresentano un mercato di circa 319 milioni di persone; la Russia di 144 milioni di persone (peraltro con un PIL pro capite di circa 14.611 USD/anno) e la Cina, senza dubbio il mercato più numeroso, vanta circa 1.4 miliardi di persone, ma con un PIL pro capite di appena 6.807 USD/anno (l’Italia si ferma a poco meno di 60 milioni).

Cosa ci deve far pensare questo dato? Che il mercato dell’Unione Europea ha una assoluta rilevanza, anche paragonato quello interno statunitense, russo o cinese e che rappresenta un competitor credibile per le altre piazze mondiali. A differenza di molti altri settori di politica comune, gli aspetti commerciali e del mercato unico sono quelli che hanno maggiormente avuto successo nella storia europea, tanto che oggi l’unica vera leva che l’Europa può usare nei rapporti esterni è proprio quella economica.

Da qui è fin troppo facile capire perché all’esterno si prema per sbriciolare l’Unione Europea: un conto è trattare con una entità di dimensioni assimilabili alle tue, tutt’altra cosa è avere a che fare con mercati di grandezza 10 o 20 volte più piccole delle tue. Quindi, quando i vari Trump o Putin auspicano la fine dell’Unione Europea, lo fanno non certo perché hanno a cuore le sorti dei popoli del vecchio continente (mai giocato a Monopoli? se qualcuno vi suggerisse che fareste bene a non tenere insieme Parco della Vittoria e Viale dei Giardini probabilmente gli fareste una grassa risata in faccia)

Veniamo ora alla visione dei “secessionisti interni”, soprattutto nostrani (e questi sono veramente incomprensibili). Nei dibattiti nazionali l’Unione Europea dovrebbe essere abbandonata per dar vita a politiche nazionali maggiormente protezionistiche e svincolate dalla regolamentazione comune dei debiti e della gestione monetaria della BCE, sulla falsa riga di quanto dichiarato nella campagna elettorale di Trump.

Pur volendo far finta per un istante che le politiche protezionistiche sbandierate siano efficaci, è del tutto evidente che gli effetti su un mercato unico europeo sarebbero esponenzialmente maggiori rispetto a quelli su singoli mercati nazionali: ad esempio la capacità di imporre ad aziende e multinazionali la produzione interna a pena di dazi dipende essenzialmente dalla capacità di esercitare pressione sulle aziende medesime ed è lapalissiano che un mercato di 450 milioni di persone esercita più pressioni di uno di neanche 60 milioni. Quindi chi propone una ricetta americana per l’Italia o non sa di cosa parla o è in malafede.

La principale molla di chi spera nella fuoriuscita dall’Unione Europea è l’Euro (e il fatto che da esso dipenderebbe il significativo calo del potere di acquisto degli italiani).

A questo proposito bisogna però capire due cose:

1 Allo stato attuale non è ipotizzabile una rinuncia alla moneta unica senza una rinuncia in toto all’Unione Europea. Questo sia perché giuridicamente è un aspetto in cui i trattati dell’Unione sono vincolanti, ma anche e soprattutto per motivi di sopravvivenza economica del Paese.

Questo secondo aspetto vale per tutti gli stati in maniera identica? No. Probabilmente la Germania o la Gran Bretagna potrebbero uscirne con perdite relativamente accettabili, almeno sul breve periodo (e, viste le vicissitudini al limite del grottesco conseguenti alla brexit non è assolutamente scontato).

L’Italia però è un paese particolarmente esposto al rischio speculativo, con fondamentali macroeconomici problematici e, soprattutto, un debito pubblico estremamente elevato. Tutti aspetti che ci renderebbero bersaglio privilegiato degli squali finanziari (a proposito…presente quel detto secondo cui l’Italia sarebbe troppo grande per poter fallire? bene, vale finché siamo collegati al resto delle nazioni europee che rischieremmo di portare a fondo con noi…non certo da soli).

Tutto ciò senza contare le difficoltà pratiche dell’effettivo passaggio Euro/Lira in tutti i settori pubblici e privati. Si pensi ad esempio a tutti coloro che hanno oggi prestiti in Euro, la cui conversione, specialmente da banche estere, andrebbe rinegoziata (famiglie, imprese ecc).

Se non siete convinti fate questo ragionamento semplice: avete 1000 € da investire (tutti i vostri sudatissimi risparmi) e potete scegliere di investirle entro oggi, o in titoli di stato tedeschi o in titoli di stato italiani (non siete tesorieri di un grande partito del Nord quindi non potete investire in diamanti, mi spiace), sapendo già che da domani l’Italia abbandonerà Europa ed Euro per tornare ad una politica monetaria nazionale e alla Lira. Sinceramente, dove investireste i VOSTRI soldi? Ad oggi non ho ancora incontrato una solo folle che mi abbia risposto “nei titoli italiani”.

2 La colpa è tutta veramente dell’Euro? e ancora, se non fossimo mai passati alla moneta unica saremmo stati meglio?

Attribuire la colpa dei mali nazionali all’Euro è una semplificazione falsa, utile semplicemente a individuare un facile capro espiatorio su cui far convogliare le ire popolari.

Certo la conversione Lira/Euro ha causato problemi in Italia, a causa soprattutto di un tasso che nei fatti è stato in breve di 1 a 1. D’altronde senza l’ingresso nell’Euro e le politiche di risanamento del debito intraprese a partire dagli anni 90, non è difficile intuire come la probabile conseguenza delle politiche economiche e monetarie nazionali sarebbe stata un default abbastanza rapido.

A ciò si aggiunga che il dimezzamento del potere di acquisto sarebbe in ogni caso arrivato a causa dell’inflazione che, ai “bei tempi” della Lira galoppava a due cifre (nel periodo 1973-1984 l’inflazione viaggiava stabilmente sopra al 10%, con punte oltre il 21% nel 1980. Ha iniziato a stabilizzarsi solo dagli anni novanta, quando è iniziato il percorso di ingresso ad una moneta comune europea)

Il miraggio che viene proposto, ossia che tornando alla Lira l’italiano medio tornerebbe anche ai “fasti” degli anni 80, quando tutti spendevano di più e stavano meglio è una favola degna delle promesse di facile arricchimento che si avrebbe sotterrando monete d’oro nel campo dei miracoli (Il gatto e la volpe ricordano nulla?).

A chi va per mare insegnano subito che, in caso di emergenza, bisogna rimanere a bordo della nave il più a lungo possibile, perché in mezzo ad un mare agitato è sempre meglio stare su una nave grande, anche se in difficoltà, che sopra ad una scialuppa.

Bene, anche se la “nave Europa” ha diversi problemi, a noi più di chiunque altro merita lottare per rimanere a bordo e provare a farla funzionare, perché il mare è in tempesta e in caso di abbandono, la nostra è una delle scialuppe più piccole e malconce che ci siano.

Per chi volesse approfondire consiglio i seguenti link:

Angelo Baglioni

Lorenzo Pinna

Paolo Guerrieri

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