DI ALBERTO EVANGELISTI
Pareto, vissuto a cavallo fra il XIX e il XX secolo, fu uno dei maggiori economisti e sociologi italiani. Fra i tanti contributi lasciati allo studio dell’economia, molto collegato agli aspetti sociologici, ci fu il c.d. “Principio di Pareto”, ancora oggi alla base di gran parte dei processi decisionali aziendali.
Questo, spiegato in maniera semplificata dice, in sostanza, che circa il 20% delle cause provoca l’80% degli effetti. Il che, letto in senso opposto, implica anche che per ottenere modifiche sostanziali sull’80% dei fattori è “sufficiente” agire sul quel 20% di cause che li determinato.
Ovviamente non è sufficiente agire su un 20% di cause così, prese a casaccio, sarebbe troppo facile. Occorre invece stabilire quali siano i maggiori fattori che hanno influenza su un dato fenomeno; agire, in un certo senso, sulle cause radice che maggiormente determinao lo stato delle cose.
Perché questo principio è importante? Perché Pareto sapeva bene che le risorse, ogni tipo di risorsa, sono finite anzi, molto più, che spesso letteralmente scarseggiano. Per questo un impiego di risorse che vada ad agire su fattori esterni a quel 20% risolutivo è un mero spreco.
Questo principio viene quotidianamente applicato alla risoluzione di problemi in campo ingegneristico, medico, sociologico, politico, economico, stando alla base di molte teorie di gestione aziendale o di problem solving (specificando che per poter risolvere un problema, questo va prima identificato e inquadrato correttamente).
Tutto chiaro fin qui? Ok. A questo punto introduciamo la seconda metà del titolo, i migranti. Già, che c’entrano i migranti con Pareto?
Ultimamente mi è capitato, dopo aver pubblicato una riflessione sul fatto che i migranti non siano il vero problema dell’Italia, di ricevere numerosi commenti di chi, nella migliore delle ipotesi, replicasse che, anche se non sono un problema principale, iniziare a risolvere quello sia meglio di nulla.
In altri casi invece mi sono sentito dire che dovrei tenere più al benessere degli italiani che a quello di persone straniere (sto edulcorando il concetto).
Mi sono reso quindi conto che nella testa di molte persone, anche quelle meno estremiste, esiste una sorta di divisione fra coloro che vogliono il bene degli italiani a discapito dei migranti e coloro che, invece, vogliono tutelare i migranti, a discapito degli italiani, in un dualismo impossibile da sciogliere.
Come pesci che non riescono a vedere l’acquario in cui sono, ci stanno convincendo che è una lotta per sopravvivere fra noi e loro (chiunque sia il noi e chiunque sia il loro, concetto a cui spesso si applica una morfologia molto variabile).
Ecco, Pareto ci dimostra che tutto ciò è errato, non idealmente o moralmente, ma empiricamente.
Vivo in Italia, non possiedo attici, sopravvivo quotidianamente in una delle città più complicate del Paese, Roma, e sono il primo ad avere interesse a che le cose migliorino, a che ci sia un reale cambiamento. Come ciascuno di noi del resto.
Il punto è però che spostare il dibattito principalmente (ma ormai quasi esclusivamente) sui migranti, non solo non aiuta a migliorare la qualità della vita di tutti noi, ma anzi fa semmai l’effetto opposto. Peraltro, ha questo effetto peggiorativo anche volendo far finta per un istante che non esista una questione morale, ma solo limitandoci a valutare la nostra vita quotidiana.
Gran parte di coloro che si sentono rassicurati dalla politica del nuovo Governo sui flussi migratori hanno senza dubbio molti problemi concreti da affrontare quotidianamente: il lavoro che non si trova, per i figli o per loro, i soldi che non bastano mai, i servizi pubblici inefficienti, il degrado delle città, la burocrazia e l’eccessiva tassazione che uccide chiunque provi a fare impresa, i tempi biblici di una giustizia a cui sempre in numero maggiore rinunciano ad affidarsi, il ritorno della tossicodipendenza come fenomeno generazionale (e ciascuno su questi punti avrebbe la propria da aggiungere).
Ora, applicare Pareto a questa situazione, significa trovare quel 20% di fattori che maggiormente determinano l’esistenza di dei tanti problemi elencati.
Certo, la cosa richiede la capacità (come minimo) di non scambiare cause con effetti.
Sembrerà incredibile, ma provando a togliere dall’equazione di ciascuno di questi problemi la variabile “migranti”, non uno viene risolto. Il che non significa che i migranti non siano di per sé coinvolti in attività illegali, nello spaccio o non contribuiscano, talvolta, al degrado di certi quartieri. Ma pensare che la soluzione a questi problemi sia eliminare completamente la presenza di migranti, ammesso e non concesso che sia fattibile, è appunto scambiare cause per effetti.
Quando dico ammesso che sia possibile, lo ripeto, tralascio idealmente la questione morale. Mi riferisco alla fattibilità pratica di gestire una situazione epocale, che coinvolge decine di differenti Stati, alcuni senza un vero e proprio controllo sul proprio territorio o con vere e proprie istituzioni democratiche; che richiederebbe fondi incalcolabili e che, in ogni caso andrebbe gestita con una politica comune multinazionale laddove non esiste in realtà una comunità di visione e di intenti fra i Paesi coinvolti.
In ogni caso, anche se per un miracolo si riuscisse a governare il problema, non ci sarebbero effetti considerevoli per le nostre vite quotidiane.
Da che esistono droghe, ad esempio, in Italia si è spacciato, con o senza migranti; i furti, le rapine, i rapimenti, gli omicidi ci sono sempre stati (anche in numero maggiore di adesso).
Quando un migrante (così come un italiano ovviamente) compie una aggressione e non viene perseguito, questa è una conseguenza determinata da una causa differente: un sistema penale da riformare.
Quando qualcuno si inserisce nel sistema dell’accoglienza per lucrarci su, rubando fondi pubblici, il problema non sono i migranti, che anzi diventano vittime di questo sistema. Il problema è l’illegalità diffusa che abbiamo in Italia, che crea speculazioni sui migranti. Senza migranti (e anche ora che ci sono a dire il vero), la speculazione sarebbe ed è su altro: terremoti, disastri naturali, appalti pubblici di ogni tipo, pompe funebri, aziende sanitarie e chi più ne ha più ne metta.
Ecco perché, quando discuto di questi argomenti non accetto di essere chiamato buonista, ammesso di capirne il significato: sono tutt’altro che buono (o suoi derivati). Ma ho scelto di essere profondamente incavolato con chi realmente sta distruggendo questo paese, non con dei disgraziati rei di cercare un posto migliore per vivere e, talvolta, adattarsi al degrado di questa nazione.
Ed ecco perché bisognerebbe aspirare ad avere un Governo del cambiamento. Ma che sia un cambiamento vero. Che, tanto per buttar li qualcosa a titolo meramente esemplificativo, combatta realmente l’evasione limitando l’uso del contante, non facendo condoni. Che riformi realmente la giustizia, riportandola ad essere ciò che dovrebbe: uno scudo per i più deboli e non un mezzo di prevaricazione dei più forti. Magari occupandosi di rimodellare la procedura civile accorciando i processi, o rendendo realmente non conveniente tentare cause meramente dilatorie.
Bisognerebbe esigere che la cultura sia considerata un valore, che ci si sforzi di creare una generazione in grado di ragionare, di informarsi e di non bersi ogni cavolata spacciata on line con un meme come “notizia”.
Ogni momento, ogni energia spesa per convincere l’Italia che il problema da risolvere sono i migranti, o che almeno puntare su quello sia un inizio, sono risorse tolte alla soluzione dei veri nodi del nostro paese.
Dovremmo volere tutto questo, non perché siamo buoni, non per questioni di coscienza, ma perché è giusto volere uno Stato che faccia il proprio lavoro per i cittadini e non per racimolare facile consenso. Dovremmo volerlo per vivere meglio e per garantire che lo facciano anche le generazioni future.
In breve, dovremmo volere non essere presi in giro da chi sta vendendo un “prima gli italiani”, con la stessa naturalezza con cui prima vendeva un “prima il nord” e domani chissà prima chi o cosa.
Al suo posto dovremmo dar fiducia a qualcuno che dica che se vogliamo risanare questo paese e trovare soluzioni reali non occorrono capri espiatori, ma serve guardare, in questo senso si, prima ai problemi italiani.